LE INTELLETTUALI

LE INTELLETTUALI

Vi è un rapporto di filiazione, fra Tartuffe e Femmes savantes, quasi che dopo quello straordinario capolavoro, lo specchio si fosse rotto riproducendo all’infinito l’immagine del tartufo. Tartuffe che troviamo ovunque, in Femmes savantes: sotto i tavoli, fra le tende, confuso alle mosse e alle richieste della gioventù; ma dove tutto, però, vi gira ad un folle ritmo vitale, perché Molière non s’intrattiene col pessimismo, non è sua abitudine…egli sta ridendo.
Ha visto nella profusione di tartufi di una famiglia perbene qualcosa di selvaggio che lo rallegra e lo eccita, una qualità diversa d’ipocrisia, una spavalda e ribelle identità di imbroglio e di vita.
Significativo è il fatto che Moliere, capocomico al teatro del Palais-Royal, scrisse per se il ruolo di Chrysale – bravo borghese (così recita la didascalia). Perché quella specifica? Forse per dire che l’autore non crede che tutta la borghesia (classe in ascesa nella Francia di Luigi XIV) è da identificare con le Intellettuali (o femmine saccenti). Quelle Intellettuali per cui pare che Molière avesse parecchi modelli reali e nessuno con precisione. Femmes savantes, infatti, è un titolo che non nasconde una certa pedanteria di casa nei salotti letterari che l’aristocrazia parigina impone con tanto di Tartuffe a corredo.

Ed infatti, eccolo lì, il Tartufo: vano, leggero, ragionevole, simpatico, amabile, il letterato accucciato fra le dame, il bel cane da salotto: Trissottin; e in quel salotto troviamo uno spaccato di società in cui tutto è insieme salutare e guasto, festevole e perfido. A lui fa da contraltare proprio Chrysale, l’uomo portatore del più elevato dei valori: la ragione…quasi che un secolo prima della Bastiglia, già Moliere, col fiuto del teatrante, avesse intuito che una diversa borghesia, o meglio: una borghesia fondata su valori diversi, poteva e doveva essere chiamata a rappresentare un nuovo modello di società.

La commedia affonda le sue radici nella cronaca parigina, traendo origine da un episodio realmente accaduto: l’abate Cotin aveva letto nel salotto di Mademoiselle un sonetto. Finita la lettura era entrato nel salotto Monsieur Ménage, il quale, ignorandone l’autore, aveva trovato il sonetto detestabile.
Cotin, era uno di quegli abati che la fabbrica letteraria dei Sei e Settecento ha fatto circolare in copie innumerevoli. Uomo di mondo, di cultura, di fede, era di quei letterati che in ogni tempo, sanno esercitare un potere nefasto sussurrando la battuta di spirito, il calembour, la piccola cattiveria chic all’orecchio della dama che riceve solo la gente che conta, la gente che «sa», appunto i «savantes».
L’episodio Moliere lo inserisce in un contesto in cui i giovani protestano contro gli anziani, le mogli contro i mariti, le serve contro i padroni, insomma “tutti contro tutti”…come se la follia avesse definitivamente vinto sulla ragione, l’ingiustizia sulla correttezza, l’ipocrisia sulla verità. E in questo caos vorticoso non si fa difficoltà a reperire le parole d’ordine legate all’indipendenza delle donne, alla loro autonomia, alla capacità, di queste, di leggere la realtà in un modo nuovo, diverso e libero. E noi, uomini del duemila, non facciamo fatica a pensare che Moliere, da quel lontano 1672, si spinga a parlarci, invitandoci a non essere asserviti a nessun potere.
Poiché è potere la cultura; ed è potere l’ignoranza; è potere l’intellettuale di prestigio, ed è potere la serva di casa; è potere la tradizione ed è potere la novità; è potere il maschio ed è potere la femmina: perché il potere non ha sede né volto, cambia faccia e posizione a seconda di chi lo detiene. È il potere a decidere della realtà di chiunque. Il potere o il teatro. Parola di Jean-Baptiste Poquelin detto Moliere!